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Cosa fare durante l’adolescenza (ma anche da adulti) quando non si sa che strada prendere?

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“Tutto quello che ti accade nella vita riflette la scelta che hai preso. Se vuoi un diverso risultato, fai un’altra scelta.”

Spesso, durante il percorso della nostra vita, ci vengono poste delle scelte e, sostanzialmente, ci viene chiesto di esporci e prendere una delle tante strade possibili.

Ma come fare ad intraprendere quella giusta?

E qui mi avvalgo della statistica e di locuzioni che molti potrebbero fraintendere, ma quello che vi voglio passare è che non ci sono scelte giuste o sbagliate, ci sono percorsi che decidiamo di intraprendere, strade che cerchiamo di percorrere con o senza avere la meta chiara.

Non c’è la pozione magica, che puoi bere e ti farà scegliere la giusta via, esiste la nostra personalità, la nostra identità o la coscienza e lei si che sa cosa fa meglio per noi.

Col procedere degli anni, acquisiamo sempre più autonomia dai nostri genitori fino ad arrivare all’indipendenza. Nel corso di questi anni però, in parte, non siamo noi al 100% che decidiamo della nostra vita, sono sempre gli altri (genitori e non) che ci impongono o ci persuadono a scegliere una strada, la quale può essere distante o vicina a quella che avremmo voluto percorrere.

Arriviamo ai 50 anni e ci accorgiamo che quella strada intrapresa a 14 anni non faceva per noi.

Passiamo dallo scegliere di praticare un determinato sport o studiare/suonare uno strumento, uscire con quegli amici, iniziare un percorso scolastico, andare a lavorare, comprare quel libro piuttosto che un altro.

Ogni nostra scelta è condizionata, volente o nolente che sia.

Le nostre decisioni sono influenzate dal mondo esterno, dai social, la società, le aspettative genitoriali, gli amici, i nonni e via dicendo o potremmo essere anche noi stessi ad autoconvincerci che quell’esperienza fa per noi.

Durante il periodo delle medie ho vissuto parecchi momenti no, ho passato la maggior parte del tempo in vasca con un pallone da pallanuoto e copricostumi che si rovinavano col cloro. Quando non ero in piscina, ero a casa o scuola e cercavo di essere accettata dal gruppo di amiche con cui uscivo.

Tutti passiamo il momento ribelle nella nostra vita o perlomeno il mio è iniziato alle medie (e forse non è mai finito).

L’episodio che ha segnato quel periodo della mia vita è un episodio di ribellione e volontà di essere accettata dal gruppo dei pari.

Ero in seconda media, era il 2012. I primi cellulari touch passavano dai genitori ai figli, perciò ci ritrovavamo nelle mani dei gioiellini che avevano la fotocamera, internet e la possibilità di accedere all’app più usata in quel momento, facebook.

Era un normalissimo giorno di scuola, solite ore di lezione e poi arrivava quella che odiavo, musica. Non era tanto il professore, ero più io che mi sentivo giudicata dagli altri quando suonavo il flauto dolce.

Quel giorno, Eleonora (che sarei io) ha avuto la bellissima idea di fare delle foto ai compagni mentre uno di essi era interrogato. Guarda caso, la stessa Eleonora decide di far sapere ai suoi “amici” di Facebook cosa stava facendo, dimenticandosi che la figlia del prof di musica era tra questi “amici”.

Da lì iniziavano giorni infernali. Il professore lo venne a sapere, la voce si sparse con tanto di minacce di denuncia per violazione della privacy. Ma io a 13 anni non sapevo nemmeno cosa volesse dire “denuncia”, per me era solo il far sapere agli altri che avevo anche io il coraggio, anche io ero forte, anche io andavo contro i grandi.

Questo professore mi fece solamente una ramanzina ed una relazione su cosa significasse violare la privacy di qualcuno; mentre altri professori no, continuavano la battaglia con frasi del tipo “fossi stata al posto di C******I ti avrei denunciata” “Sei una stupida bambina” “Sei incosciente, ti rendi conti di cosa fai?”

Beh la risposta tra me e me è sempre stata “Si, mi rendo conto di cosa faccio e lo faccio per farmi accettare.”

Quella bravata mi costò tutte le amicizie che mi ero costruita sulle menzogne, mi costò la stima e il rispetto della professoressa di matematica e scienze che per me era il mio idolo. Io volevo, un giorno, essere come lei.

E lei fu la stessa che mi ripeté per un anno e mezzo che non ci avrebbe pensato due volte a denunciarmi, lei fu la stessa che non mi guardò più come prima. Ero la migliore nelle sue materie, predisposizione naturale? Studio? Di certo era la prima. Mai preso un’insufficienza con lei, dovevo riguadagnarmi la fiducia.

La mia guerra per riconquistare la prof venne persa a quell’incontro genitori-insegnanti di orientamento scolastico. Lei, la professoressa che stimavo, fu l’unica a dire “Vostra figlia se non studia costantemente, non riuscirà a completare il Liceo Scientifico, pertanto, vi consiglio ragioneria.”

Quella frase frantumò i miei sogni, le mie aspettative, i miei sforzi.

Dopo lacrime versate in cameretta, mi sono alzata dal pavimento e mi sono messa in testa che io quel liceo l’avrei finito, avrei preso la laurea e sarei diventata migliore di come mi disegnava quella persona che tanto stimavo.

Quella ragazzina a 13/14 anni si ritrovava a dover scegliere quale scuola superiore iniziare; si ritrovava davanti ad un bivio, cosa scegliere?

Scegliere quello che sentivo dentro di voler fare o scegliere la scuola che consigliava la prof che adoravo e la stessa che mi ha messo i bastoni tra le ruote di continuo?

Quella ragazzina un po’ ribelle, un po’ fragile ha deciso, per la prima volta per sé.

E cosa ha scelto? Ha scelto il Liceo scientifico.

Le materie scientifiche mi hanno sempre dato una sensazione di sicurezza, di armonia e di dinamicità, come se la scienza fosse un continuo processo verso la conoscenza abbracciando altre branche.

Agli occhi esterni può sembrare una scelta banale, ma quella stessa scelta che viene reputata banale avrà conseguenze sulla nostra vita.

Quello che vi voglio trasmettere, a distanza di anni, è che fare scelte è parte del gioco della vita. Fare scelte è una condizione necessaria e sufficiente a determinare la qualità della nostra vita. Fare scelte coerenti per noi stessi determinerà poi chi saremo in futuro.

Fare scelte non è mai semplice, anzi.

La cosa migliore è sapersi ascoltare: dal percepire le proprie emozioni al ritagliarsi del tempo per stare nella nostra intimità.

Mettere su la musica che sentiamo di voler ascoltare, una candela profumata o dell’incenso, il libro preferito: sostanzialmente creare un’atmosfera rilassante per noi stessi e che possa stimolarci a prenderci cura di noi stessi.

La pandemia ci ha messi a dura prova, se la vita sociale era stata stoppata, il resto della nostra vita continuava all’interno delle mura domestiche. Continuavano le verifiche, le interrogazioni, le relazioni di fisica, gli esami universitari, i laboratori fatti a distanza e non abbiamo mai smesso di essere di fronte ad un bivio e dover scegliere cosa fare, dal decidere se fare sport, oggi, allo scegliere cosa fare dopo la maturità.

Sarebbe stato facile se durante questi mesi, tutti si fosse messo in pausa, niente scelte, niente verifiche, niente stress, niente contatto con gli altri e nessuna crescita.

Non c’è la formula perfetta per scegliere, bisogna sapersi ascoltare, capire ciò che abbiamo dentro e dove punta la bussola dentro di noi. Ognuno di noi ha il suo mondo, il suo rituale, il suo modo d’esprimersi con l’arte, con il corpo, con le parole.

Qualsiasi scelta tu, lettore (genitore o figlio), debba fare oggi o domani, prima di tutto ascoltati dentro e prenditi il tempo necessario per raggiungere la consapevolezza.

“Non sono quello che mi è successo, sono quello che ho scelto di essere.”

Eleonora Peverieri

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