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Quello che noi non sentiamo

Emozioni
Elena Ricci

Emozioni.

Una parola, tantissime sfumature.

Sin da quando siamo bambini, i nostri genitori ci insegnano ad associare delle parole alle nostre reazioni: quando ci fanno uno scherzo ridiamo; quando ci facciamo male piangiamo; quando qualcuno ci fa un torto ci arrabbiamo; quando siamo da soli al buio abbiamo paura, e così via. 

Tutte queste “reazioni”, in realtà, sono le nostre emozioni.

Di emozioni ce ne sono tantissime (molte più di quelle che solitamente nominiamo) e svolgono tutte un ruolo fondamentale nella vita di ogni persona. Sono quelle che ci aiutano a prendere decisioni, a organizzare le nostre scelte e il nostro comportamento.

Sono parte integrante del nostro viaggio come persone.

 Quali emozioni possiamo considerare positive e negative?

É difficile dirlo; in genere sosteniamo che la felicità, la gioia, la speranza, l’amore… facciano parte dei nostri sentimenti positivi, al contrario della rabbia, della tristezza, della paura e del disgusto.

Spesso la nostra società, la scuola e i genitori ci dicono che alcune, le emozioni negative, sarebbe meglio non esprimerle, così da non essere giudicati dalle persone che ci circondano.

Ed è da qui che iniziamo a nasconderle, a metterle in un cassetto e a tenerle chiuse lì dentro, nella speranza che piano piano, col tempo, spariscano.

Purtroppo non è così facile.

La verità è che spesso le emozioni ci spaventano. Mettono in luce qualcosa di nostro che talvolta nemmeno noi stessi conosciamo.

 Il tipo di emozioni che tendiamo a non sentire, a nascondere, varia a seconda dei nostri punti deboli, del contesto sociale in cui siamo cresciuti, del livello culturale e professionale, dei ruoli che rivestiamo, della nostra storia personale e anche dal nostro genere sessuale.

Spesso si associa la capacità di essere razionali al maschile e la capacità di essere emotivi al femminile.

Quante volte un ragazzo che piange viene etichettato come una “femminuccia”, oppure una ragazza che si arrabbia viene chiamata “isterica” o considerata sotto l’effetto del ciclo mestruale.

Io personalmente lo sento dire molte volte, e ogni volta non posso essere più in disaccordo.

Ognuno di noi, a prescindere dal sesso, è libero di provare e soprattutto di esprimere ciò che sente, in qualsiasi luogo e circostanza.

«Dovrei lasciarmi andare? O invece dovrei trattenere questa parte di me affinché nessuno possa vederla (e poi chissà cosa succede)? ».

«Non posso reggere quello che potrei sentire».

É questo che in alcune situazioni ci diciamo quando abbiamo paura, paura di sentire di nuovo qualcosa che ci ha ferito.

Secondo uno scrittore e poeta statunitense, “la più antica e potente emozione umana è proprio la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto”.

Nessuno può sapere cosa accadrà dopo un qualsiasi evento, è una delle tipiche domande alle quali non esiste risposta ed è per questo che molte persone, che vivono con maggiore leggerezza questa paura, si lasciano semplicemente trasportare.

 Certamente in alcuni momenti è meglio non sentire, sentire moderatamente o a tratti. 

Quando la realtà è troppo difficile da accogliere allora dobbiamo farlo un po’ per volta. Anche un grosso masso può essere frantumato, ma con una martellata dopo l’altra; se cerchiamo di frantumarlo in un solo colpo, ci potremmo fare molto male (a meno che non si è allenati per farlo).

Il problema sorge quando molti decidono di non affrontare per niente le emozioni, chiudendole in un cassetto nella speranza di dimenticarle (o che loro si dimentichino di lui/lei).

 Ma dopo aver riempito il cassetto con tutte queste sensazioni, queste emozioni, come ci sentiamo? Direi bene… almeno temporaneamente.

E dopo però cosa succede? Per quanto tempo saremo in grado di tenere tutto ciò che ci turba, dentro di noi? 

Dipende, ognuno ha un cassetto di capienza diversa: potremmo resistere degli anni, dei decenni, o magari qualche mese, persino solo dei giorni, ma prima o poi la serratura del nostro cassetto cederà.

 Sarebbe meglio non arrivare a questo punto, sarebbe meglio non dover essere costretti ad affrontare all’improvviso lo tsunami di emozioni che esce dal cassetto.  Se comunque accade, non bisogna demordere perché, aldilà della tormenta, si sta comunque andando verso la liberazione da un peso e questa è sempre una buona cosa. 

Per non arrivare a “scoppiare” però, io consiglio di esprimere a morsi e bocconi le emozioni ogni giorno.

A volte bastano delle piccole azioni, come ridere, piangere, urlare, piccole manifestazioni che cambieranno le sorti di quel povero cassetto.

Connettersi con le nostre emozioni richiede la capacità di connetterci con noi stessi. Quando la situazione diventa complicata, non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto.  A volte, tutto quello di cui abbiamo bisogno per riconnetterci con i nostri sentimenti è un sostegno esterno. 

E anche se non è sempre possibile, in qualche occasione, si può imparare a lasciar fluire le emozioni semplicemente accettandole e respirando.

 In conclusione a questo articolo, la domanda a cui vorrei rispondere è: “conviene davvero rischiare di sentire?”

Secondo me si, le emozioni sono delle voci che ci permettono di conoscerci e bisogna ascoltarle. A volte gridano troppo forte e allora le possiamo chiudere per un po’ nel cassetto per ridurre il volume, ma non possiamo (dobbiamo) dimenticarci di loro, sono compagne di vita preziose.

D’altronde lo diceva anche un grande artista come Vincent Van Gogh: “Non dimentichiamo che le piccole emozioni sono i grandi capitani della nostra vita e che obbediamo a loro senza saperlo”

Elena Ricci

Youth Coach Younite

 

 

Elena Ricci

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