Mi piace raccogliere e raccontare storie di vita vera, di quelle da cui tutti noi possiamo imparare qualcosa e che possono diventare storie “paradigma” da declinare in casi simili per capire come attraversare le difficoltà e i momenti critici che la vita ci presenta. Credo che questa storia possa in qualche modo essere una testimonianza importante di coraggio, e di come noi genitori, a volte, ci troviamo di fronte a esperienze totalmente sconosciute che ci spaventano, ci lasciano senza parole, ci paralizzano per quanto lontane sono dalla nostra mente e dal nostro vissuto.
Questa è la storia di una mamma separata che, 18 anni fa, ha dato alla luce una bimba bellissima. Una bambina che oggi non si riconosce più come “femmina”. In lei tutto grida: “Sono un maschio, sono uomo, questo corpo non mi appartiene e non lo riconosco. Non so più chi e che cosa sono…”
Per discrezione e rispetto userò iniziali di fantasia per portarvi dentro al suo dolore, alla sua sorpresa, alla sua forza e al suo coraggio. Ho chiacchierato a lungo con mamma P. e quello che più mi ha colpito è stata la serenità e la grande consapevolezza con le quali mi ha spiegato il lungo viaggio che lei e sua figlia R. hanno intrapreso insieme.
Il racconto di P.
Ho sempre pensato che il mio compito più importante come mamma fosse amare incondizionatamente mia figlia e sostenerla in tutte le fasi della sua vita. Non avrei mai immaginato, però, che una delle sfide più grandi sarebbe stata accettare che quella bambina che ho cresciuto non si sentisse più a suo agio nel corpo in cui era nata, e che avrebbe iniziato un percorso per diventare la persona che ha sempre sentito di essere: un maschio.
Quando mia figlia mi ha detto per la prima volta che si sentiva un maschio, il mio mondo si è fermato per un attimo. La prima reazione è stata di confusione, paura, e sì, anche un po’ di negazione. Mi sono chiesta: “Cosa ho sbagliato? Come può sentire di non essere chi l’ho sempre vista?”
Ma ho capito presto che queste domande non erano utili, né per me né per lei. La cosa più importante era ascoltarla, capirla e cercare di essere il suo sostegno più grande in un momento così delicato. Sapevo di non poter contare su nessuno, neanche sul mio ex-marito, che pensa che per R. “è semplicemente una questione di moda, un capriccio. Fra qualche tempo le passerà!”
Le sfide mediche
“Per R, il percorso emotivo è stato complesso, con momenti di enorme sconforto. Si è sentita intrappolata in un corpo che non rifletteva la sua identità: il disagio, la confusione e la solitudine che ha provato prima di riuscire a parlarne apertamente con me sono stati schiaccianti. Ha avuto paura di essere giudicata e rifiutata, di non essere mai compresa. Per un genitore, sapere che tuo figlio ha vissuto questi sentimenti in silenzio è devastante”.
Uno dei primi passi nel percorso di affermazione di genere è stato reperire un supporto medico adeguato. Trovare specialisti competenti in disforia di genere e terapie di transizione è stata una sfida. Ho dovuto imparare velocemente tutto ciò che potevo sulle opzioni disponibili: dalla terapia ormonale agli eventuali interventi chirurgici. Ogni scelta medica comporta delle implicazioni fisiche, emotive e psicologiche che non sono da prendere alla leggera.
Le decisioni mediche che affronteremo in futuro, come la possibilità di un trattamento ormonale o interventi chirurgici, portano con sé una serie di preoccupazioni. Gli effetti collaterali, i rischi a lungo termine e l’impatto sullo sviluppo fisico e mentale sono questioni da considerare attentamente, con il supporto di medici specializzati.
Le sfide sociali
Affrontare il giudizio della società è un’altra montagna da scalare. Come genitori, ci si preoccupa di come il mondo esterno tratterà nostro figlio. Temo che la discriminazione e l’ignoranza possano ferirlo, non solo da parte degli estranei, ma anche da chi ci è vicino: amici, parenti, compagni di scuola. Il bullismo, i pregiudizi e la mancanza di comprensione possono avere un impatto devastante sulla salute mentale di un giovane che sta già affrontando un percorso di transizione.
Anche per me, come madre, ci sono sfide sociali. Spesso mi sento giudicata, come se le persone pensassero che questa decisione sia una mia responsabilità o il risultato di un’educazione “sbagliata”. Ho dovuto imparare a ignorare i commenti negativi e concentrarmi su ciò che è giusto per mio figlio.
Banalmente, anche a scuola la pressione è forte. I professori non sanno come rivolgersi a R., se trattarlo come ragazzo oppure come ragazza. E ancora, al compiere dei suoi 18 anni è stato il momento di rifare il documento d’identità: all’anagrafe, l’addetto allo sportello continuava a guardare R. con perplessità, fino a che non è arrivata la coltellata: “Ma tu, cosa sei? Un maschio o una femmina? Perché non si capisce!”
Il peso della cultura e delle aspettative
“Viviamo in una cultura che, per quanto stia facendo passi in avanti, rimane spesso attaccata a rigide norme di genere. Il peso delle aspettative sociali e culturali è opprimente. Mi sono resa conto di quanto fosse profondamente radicata nella nostra società l’idea che una persona debba aderire al genere assegnato alla nascita. Questo ha reso il cammino ancora più difficile per mia figlia, ora mio figlio, e per noi come famiglia.
In molte culture, l’identità di genere è strettamente legata alla dignità e al ruolo sociale. Spesso, il cambiamento di genere viene visto come una ribellione o addirittura un’aberrazione: questo rende ancora più complicato trovare sostegno e accettazione, specialmente nelle comunità più tradizionali”.
L’amore come guida
“La mia guida, in tutto questo, è l’amore per mio figlio. So che ci saranno momenti difficili, giorni in cui ci sentiremo sopraffatti dalle sfide, ma sono convinta che con supporto, comprensione e dialogo supereremo tutto. Il nostro legame non dipende da un genere o da un’identità, ma dall’amore che ci unisce. Anche il fratello di R., più grande di un paio di anni, sta facendo il cammino insieme a noi. Sono meravigliata da come sappia interagire con la nuova identità di quello che non è più sua sorella ma suo fratello, di come le dinamiche, il modo di comunicare, il linguaggio del corpo sia mutato per accogliere e celebrare questa seconda nascita di R.”
Se c’è qualcosa che ho imparato finora, è che il percorso di transizione non è una decisione improvvisa o leggera. È un viaggio lungo, complesso, e a volte doloroso, ma anche pieno di crescita e di scoperta. So che nulla è impossibile se c’è la fiducia, il rispetto, se ci si parla con sincerità e soprattutto se insieme, mano nella mano, si cammina verso il futuro…”
Transizione di genere: per saperne di più
Ora che ti ho raccontato questa storia di coraggio, amore e cambiamento, ti lascio qualche dato teorico per approfondire il tema delicato e attuale della transizione di genere.
Nel 2024, le percentuali di adolescenti che intraprendono percorsi di transizione di genere, come terapie ormonali o interventi chirurgici, sono relativamente basse, ma in crescita. Tra i giovani transgender e gender-diverse, meno del 3% riceve trattamenti chirurgici, con la maggioranza che preferisce interventi meno invasivi come supporto psicologico e terapie ormonali.
Sebbene i numeri siano bassi, l’attenzione sul tema rimane alta sia a livello legislativo che nel dibattito pubblico, soprattutto alla luce del crescente riconoscimento dell’importanza di tali percorsi per la salute mentale degli adolescenti transgender, che mostrano spesso una significativa riduzione di ansia e depressione grazie al supporto gender-affirming.
5 concetti chiave per la comprensione
- Identità sessuale e orientamento: la percentuale di adolescenti che si identifica come LGBTQ+ è in aumento.
- Ruolo dei social media: piattaforme come Instagram e TikTok giocano un ruolo chiave nella scoperta e accettazione dell’identità sessuale.
- Fluidità sessuale: il concetto di fluidità è in crescita; molti adolescenti preferiscono non etichettarsi rigidamente.
- Influenza culturale: film e celebrità incoraggiano gli adolescenti a esplorare il proprio orientamento.
- Ruolo dell’educazione: un’educazione sessuale inclusiva riduce l’ansia e migliora il benessere psicologico.
Antonella Beggiato